Tra i principi fondanti dell’analisi grafologica formulati da Ludwig Klages, la Legge della direzione dell’attenzione occupa un posto centrale per comprendere le dinamiche sottese alle modificazioni volontarie della scrittura. Questa legge stabilisce che:
“Si mutano i tratti più appariscenti come le maiuscole, le minuscole allungate, i tratti iniziali e finali ecc.”
In altre parole, quando un individuo decide consapevolmente di alterare la propria grafia – che sia per imitare liberamente una scrittura altrui o per dissimulare tratti della propria scrittura – l’attenzione viene rivolta soprattutto agli elementi più evidenti del gesto grafico.
Cosa osserva lo scrivente quando vuole cambiare la scrittura?
Secondo Klages, chi modifica volontariamente la propria grafia concentra l’attenzione in particolare su:
- Lettere maiuscole
- Tratti iniziali e finali delle parole
- Lettere lunghe (come f, g, l)Ma anche:
- Grandezza e inclinazione del corpo grafico
La direzione dell’attenzione si pone verso questi aspetti che sono visibili, appariscenti, facilmente percepibili anche da un occhio non esperto. Per questo motivo lo scrivente li utilizza come principali strumenti di trasformazione grafica.
Ma cosa accade agli elementi “secondari”?
È proprio qui che si annida il cuore della legge: gli elementi accessori sfuggono al controllo cosciente. Si tratta di caratteristiche che non attirano immediatamente lo sguardo, ma che rappresentano la vera “impronta digitale” della personalità grafica. Tra questi:
- Movimento interno delle lettere
- Ritmo e fluidità
- Legature spontanee
- Micromovimenti del ductus
- Modulazioni involontarie della pressione
- Ecc…
Questi segni non vengono monitorati dalla volontà, ed è qui che il Grafologo può cogliere l’autenticità del gesto grafico. La scrittura si trasforma così in un vero e proprio “luogo del non detto”, dove l’intenzione cerca di camuffarsi, ma viene tradita da ciò che resta spontaneo.
Il gesto che vuole sembrare “grafico”, ma non lo è
Quando una scrittura è artificiosamente modificata, il risultato spesso perde la naturalezza e il dinamismo del gesto autentico. Si parla allora non più di gesto grafico, ma di un atto grafico. Una tensione percettibile che interrompe il fluire spontaneo del segno.
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